Ince: «Istanbul? Inter, squadra e tifosi una cosa sola! Barella top»

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Paul Ince, ex Inter dal 1995 al 1997, ha parlato della finale di Istanbul col Manchester City. Tiferà ovviamente per la Beneamata. Crede nell’impresa e incorona Barella

CON MERITOPaul Ince esalta il percorso dei nerazzurri: «Se pensi al girone con Barcellona e Bayern, sì, può essere una piacevole sorpresa ma il percorso successivo è d’élite e non deve sorprendere nessuno. Io so cosa significa un derby a Milano: è la partita più sentita e vibrante che abbia mai giocato, figurarsi stavolta che è stata una semifinale di Champions. Quanto mi sarebbe piaciuto stare in campo, sentire la gente chiamarmi “governor”, “governatore”! L’Inter ha passato quella battaglia a San Siro ed è a Istanbul con merito».

COLLETTIVOInce parla di gruppo: «È football questo, eh… Ciò che pensi prima può essere stravolto dopo. Un errore individuale, una palla che rimbalza di qua o di là, una cattiva giornata di qualcuno, una decisione al Var. Quando dico che può succedere di tutto, lo penso davvero… I tifosi dell’Inter a cui mi sentirò legato per sempre devono crederci, ma sono sicuro che i giocatori ci credono già. Devono essere una cosa sola, una squadra come piace a me. E lo sono, si vede subito…».

ATTACCOInce sceglie Big Rom: «L’aggressione che portano è asfissiante, vogliono sempre controllare la palla, ma alle spalle dei centrali c’è spazio. E lì che puoi attaccare in velocità: per questo, almeno per me, dovrebbe giocare dall’inizio Lukaku piuttosto che Dzeko. Edin è un giocatore fantastico, bravissimo con la palla, ma non ha lo stesso scatto in campo aperto: per il City sarebbe più facile da fermare».

CENTROCAMPO − Così conclude Ince: «Abbiamo fisici diversi, ma a me piace tanto la grinta di Barella: si vede che è un altruista. Avrà nella sua zona rivali come Gundogan, Rodri e De Bruyne, ma con Calhanoglu, Mkhitaryan, Brozovic può vincere la battaglia di centrocampo: chi la spunta là, comanda il match. Certo, se pensi pure ad Haaland, rischi il mal di testa, ma difendendo di squadra puoi almeno limitarlo».

Fonte: Gazzetta dello Sport − Filippo Conticello